Il Filtro di Dio

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Il grigiore della volta sempiterna era soffice, era cotone incollato sopra un azzurro che rimaneva un lontano ricordo. 
In un alito di gelo, Raymond si strinse nel colletto alzato del giaccone scuro, respirando vapore caldo che disturbò per un attimo la sua visuale. Alle spalle, le sue orme nel terriccio melmoso tracciavano il sentiero del suo percorso con timbri di anfibi, strappati a un soldato ormai cadavere da settimane. Non era il primo corpo che vide nella sua vita, poiché da quando solcava questo mondo, i filtro fotografico di Dio era sempre stato grigio. 
I suoi compagni di campo più anziani gli raccontarono di quando esistevano i fotografi, che erano artisti in decadenza, proprio come gli altri che spremevano la loro anima. Alcuni di loro sostenevano che tutto si dipinse di grigio perché a Dio erano stati strappati gli artisti, morti uno dopo l’altro: non fu l’Apocalisse, tuttavia; l’umanità eclissò anche loro e non servì la scissione dell’atomo per farli cadere uno per uno. Bastò un semplice lume con cui attirarli e arderli come falene, come tanti Icaro colanti di cera, destinati a uno schianto sordo.
Uno schianto.
Forse qualche decina di metri di fronte, tra i rottami di velivoli e cadaveri metropolitani. 
Un altro schianto titillò i suoi nervi tesi e lo portarono a rannicchiarsi, per ottenere riparo dal muso di un pullman scolastico: bambini…Il vociare chiassoso del futuro echeggia lontano dal passato e forse la sua fu l’ultima generazione di questi ultimi.
Gli ultimi bambini.
Non osò alzarsi per scorgerlo, pregando che la creatura d’acciaio, oltre i corridoi di automobili abbandonate, non lo notasse. Era una delle tante sentinelle che verseggiavano un idioma cacofonico, simile ai disturbi delle vecchie radio ma con cambi repentini di tonalità. Non avevano bocca, ovviamente; solo sottili occhi accesi di verde acido.
Era uno dei demoni che marciavano tra le venature della civiltà sopravvissuta, per fare pulizia degli ultimi parassiti rimasti… e nessuno sapeva il perché. Erano solo consapevoli che transitavano privi di pietà, privi di umanità, che non potevano essere sconfitti e si poteva solo fuggire, passando da un nascondiglio all’altro. 
Una vita da roditori, dopo che, per anni, ne sono stati sezionati milioni… per arrivare a tutto questo. 
Lo zaino, la borsa a tracolla che utilizzava per trasportare il poco necessario, urtò accidentalmente lo specchietto pendente di un’auto dal muso accartocciato; dopo qualche scricchiolio, precipitò a terra rapido e la gravità frantumò quel che restava della superficie riflettente. 
Raymond, con sguardo fisso nel vuoto, respirò paura e pompò adrenalina, consapevole che il demone d’acciaio aveva interrotto la perlustrazione, affilando i sensi per comprendere l’origine del movimento, del fugace rumore. 
I sibili delle funzioni vitali della diabolica creatura sovrumana si fecero roboanti nella quiete.
Poi le zampe del mostro si portarono avanti, ancora e ancora. e picchiavano una marcia funerea sulla pelle del pianeta. 
E quando l’intera scocca del pullman venne sollevata da un semplice sforzo muscolare, la sentinella d’acciaio tenne fissi gli spiragli verdastri per qualche secondo, prima di abbandonare il peso dell’inutile gigante cittadino.
Il pullman, tornato a schiacciare il suolo, si lamentò e la sua carcassa tuonò per tutto il quartiere spopolato.
Raymond era fuggito, silenzioso e agile come una lucertola in cerca di nuovo calore.

Anche oggi si muore domani.

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