La domanda ultimamente ricorre di frequente durante tutti i festival musicali: ha risuonato tra le polemiche dopo l’ultima edizione del concerto del primo maggio a Piazza S. Giovanni di Roma, serpeggiato più insidiosamente durante il Festival di Sanremo, irrotto violentemente nell’universo indie quando il leader di uno dei gruppi più antichi del panorama italiano ha rivelato la verità nascosta (ma da tutti conosciuta) sulle violenze e i ricatti sessuali alla base dei più importanti eventi musicali del paese.
Perché nei festival e nelle classifiche di vendite risultano più presenti gli artisti uomini? Sono le case di produzione a determinare questo o viceversa è il pubblico che spinge le produzioni a investire più su un certo tipo di artista piuttosto che su un altro? È più efficace dal punto di vista commerciale l’artista uomo? O è tale perché nessuno ha mai davvero investito sulle artiste donna? Qual è l’utilità o il vantaggio di lasciare le artiste donna nelle retrovie? E si tratta solo di una logica di mercato oppure si può parlare esplicitamente di sessismo e discriminazione? E in che modo si influenzano reciprocamente cultura (sessista), mercato (maschile) e gusto (personale)?
Ci ha pensato Myss Keta a bypassare tutte queste domande fornendo una possibile risposta. Con un abile colpo da maestra, scoperchia la pentola e serve su un piatto d’argento una pietanza ricchissima e gustosissima, realizzata con i migliori ingredienti e prelibatezze in circolazione, seppur poco conosciute o, per meglio dire, riconosciute.
La Myss mette insieme moltissimi nomi femminili che in realtà da tempo si distinguono per raffinatezza e ricercatezza, bravura e qualità, senza che nessuno lo sappia (se non pochi/e addetti/e ai lavori e appassionati/e).
Le ragazze si sono radunate a Porta Venezia e hanno reso chiaro, attraverso il loro “The Manifesto” che sanno uscire allo scoperto anche da sole.
Succedeva nel 2015 e riaccade oggi con una nuova versione del brano che vede la partecipazione di La Pina, Elodie, Joan Thiele, Roshelle e Priestess, capitanate da Myss Keta ovviamente.
Già nella scelta delle artiste si nota la volontà del progetto di rovesciare una serie di stereotipi e confutare una serie di luoghi comuni, miscelando voci e stili che vanno dal pop commerciale allo sperimentale indipendente, passando per il rap e l’elettronica .
Il rap appunto (cifra stilistica del brano e della maggior parte delle artiste coinvolte) nonostante sia il genere più stereotipato in assoluto (anche nell’estetica di certi video e non solo nella scelta linguistica e di contenuti di certi testi) può essere donna e non solo maschio e maschilista. La Pina è una delle più coraggiose pioniere del rap al femminile in Italia e qui collabora serenamente con le giovanissime Priestess e Roshelle (classe, rispettivamente, 96 e 95).
Inoltre ci sono due artiste ben al di fuori da tutti gli schemi e definizioni: Elodie, la più pop del gruppo , accanto a un’emergente che emergente non è (e neppure pop) poiché ha già due album all’attivo e di qualità altissima, ma che purtroppo, nonostante di fatto sia un’artista internazionale, è poco conosciuta al grande pubblico e chissà che non sia la madrina Myss Keta a restituire a Joan Thiele la notorietà e il successo che merita.
E dunque si torna alla domanda iniziale: come mai artiste bravissime, musicalmente preparatissime, sofisticate e colte, che sanno già muoversi in abito internazionale non emergono come dovrebbero nel microcosmo della produzione italiana? E perché, quando ci riescono, si appiattiscono su di uno stile rassicurante fatto di vocine omologate, abitini sexy, video furbetti che spesso scivolano quasi verso un soft porn?
Alcune risposte possibili si possono riscontrare proprio nel testo di questa canzone che fin dalle prime battute racconta di una donna che “vuole, desidera, brama, pretende (…) decide, comanda, esige, domanda” ovvero che possiede tutto ciò che più fa paura in una donna, nonostante essa sia fedele e corretta, poiché capace di guardarsi allo specchio a testa alta e che pertanto “non tradisce” e dà (ma anche pretende) “onore e rispetto”.
Eppure proprio per questo è forse la donna più pericolosa che possa esistere perché sfugge, scalpita, sa, conosce e desidera.
E’ una donna che mette in discussione, che non sta buona lì dove viene messa, ma che costruisce se stessa e il proprio spazio e determina lei il modo di relazione tra se stessa e gli altri, che siano produttori, colleghi, superiori o il proprio pubblico.
Le Ragazze di Porta Venezia sono donne che non temono alcun confronto, che sanno esattamente dove sono e cosa vogliono, che sanno riconoscere il proprio valore (e non aspettano che sia un altro ad attribuirglielo) e quello di chi hanno di fronte: “noi profili alti, tu ci lavi i piatti, io non scendo a patti, tu mi guardi e piangi”.
Sono donne che non chiedono, ma richiedono ascolto e riconoscimento: “non farmi domande, ascolta le risposte”. Che vogliono essere viste e non inquadrate: “tu portaci rispetto, io non ho pazienza”. Sono donne evolute e in continua evoluzione, foriere di rivoluzione e “pronte per la svolta”.
E l’augurio è che la svolta, proposta dal brano, avvenga in tutto il mondo della musica che ne avrebbe proprio bisogno.
Ecco dove sono le ragazze.
Questo sono le ragazze.
Grazie Ragazze!