Lucio Leoni, penna e voce tra le più interessanti della scena romana, si racconta ad Indie Life, in attesa del nuovo album.
– Ciao Lucio. Da quest’estate sei al lavoro su qualcosa di nuovo, giusto? Cosa bolle in pentola?
Ciao! è bello essere qui! Dunque, si, siamo vicini all’arrivo di un disco nuovo, che poi sono due, ma che in realtà è uno, per ora non posso dirti moltissimo. Non è vero, potrei dirti tutto. Ma è lunga e magari ti annoio. “Ma te l’ho chiesto io!” Tu mi dirai, e vabbeeeene, se insisti. Insomma ho scritto un bel po’ di canzoni, ma di solito lo faccio per avere tempo, in fase di lavorazione, di disamorarmi di qualcosa: lavoro in eccesso per poi scremare. Ecco questa volta non ho scremato e dunque sarà un doppio disco, ma non uscirà tutto insieme. Dati i tempi di attenzione di oggi sarebbe stato antipatico da parte mia. Ad Aprile vi faccio ascoltare la prima parte. Si chiamerà “Dove sei”.
– Questo nuovo progetto é stato anticipato dal singolo “Mi dai dei soldi”: un titolo provocatorio per un brano impegnativo dal punto di vista sia dei contenuti che della forma. Mi racconti da dove e come é nato questo brano?
Ci sono argomenti che mi interessano moltissimo ma che a volte fatico ad affrontare perché non sento di esserne all’altezza. Di non aver studiato abbastanza per poterli affrontare con la giusta profondità. Un anno fa, più o meno, sono andato a vedere uno spettacolo di un mio amico (Andrea Cosentino) dal titolo “Kotekino Riff”. Andrea è un autore e attore eccezionale, e in quello spettacolo, verso la fine eseguiva un monologo che parlava dell’arte e del fare arte in un modo che sentivo molto mio e che diceva cose che avrei voluto dire io ad un livello che forse non raggiungerò mai. Così gli ho chiesto di poter utilizzare quel monologo e metterlo in musica. Andrea è stato felice di “prestarmi” quelle sue riflessioni ed ecco che è uscito fuori il brano che hai ascoltato. Trovo sia uno dei testi più interessanti e giustificati che abbia letto negli ultimi tempi e sono onorato di aver collaborato con un autore del calibro di Andrea che è anche un ottimo trombettista.
– Parliamo anche del video: particolarissimo grazie anche alla performance di Andrea Cosentino. Anche qui: mi dici come é nata l’idea e questo incontro tra artisti? E che cos’è se non va preso né come un video né come una canzone per non rimanere delusi (come tu stesso hai affermato presentandolo la prima volta)?
Direi che in parte ho già risposto con quanto ti ho raccontato poco prima. L’affermazione relativa al non essere un video, né una canzone era una battuta che voleva sdrammatizzare, ma tutto sommato molto reale. Ti sarai accorta che non è quello che si dice un brano pop o radiofonico (almeno rispetto a quello che oggi viene definito pop o radiofonico) e in fondo è un’operazione che nasce in un contesto diverso e che mette in musica un testo teatrale senza effettivamente musicarlo. Non è neanche un video per lo stesso motivo: i videoclip servono a promuovere e veicolare la canzone il più delle volte, mentre noi (grazie alla regia di Daniele Martinis) ci siamo limitati a documentare la mimica di Andrea e la sua maschera e in qualche modo abbiamo cercato di non far succedere nulla, ci interessava che ci si focalizzasse sul testo. E ci interessa che ci si faccia delle domande come ad esempio: “ma che è?”
– Il video è girato a San Lorenzo, quartiere nevralgico di Roma dove si incontrano strade, percorsi, università, stazioni, attività commerciali e culturali, luoghi di culto, paradossi architettonici fatti di palazzi storici abbandonati e poi occupati e ora sotto sgombero e di luoghi della movida sovraffollata e rumorosa che fa indignare i comitati di quartiere. Un quartiere di adulti e di bambini, di giovani e di anziani, di lavoratori e di studenti, autoctoni e fuori sede. E poi è il quartiere del cosiddetto degrado, dello spaccio, della violenza e dunque della retorica e delle strumentalizzazioni della politica. É per questo che l’hai scelto come location? Come vedi e come vivi i paradossi di questa città?
No, non l’ho scelto per questo motivo, ma sono contento di averlo girato lì. Ci serviva uno spazio dove mettere in scena “l’accattone” di Andrea e la piazza di San Lorenzo si è rivelata perfetta. Come vivo i paradossi? Non lo so…è una domanda molto difficile. Ti rispondo con un’altra domanda: siamo sicuri che li viviamo davvero questi paradossi?
– Partecipi tanto all’attività politica di questa città. Nei tuoi live dici sempre che un artista deve fare politica: l’arte stessa è un atto politico. Ti sei speso tanto per gli spazi sociali di questa città: sia per costruirli e renderli possibili, sia per difenderli ora che sono sotto sgombero. Che importanza hanno questi luoghi per la cittadinanza e in particolare per la cultura e l’arte (e per gli artisti) e, viceversa, quanto è importante che l’arte (e gli artisti) sia messa a disposizione di questi luoghi così preziosi e così fragili (anche il tema del ruolo dell’arte e dell’artista è presente in “Mi dai dei soldi”)?
Credo che non ci sia crescita se non attraverso la costruzione di collettività. Questa città ha perso completamente contatto con l’idea di comunità e di condivisione; ce lo racconta, per esempio, lo sviluppo urbanistico: dall’idea di cortile, di piazza ci siamo spostati nelle unità abitative ad alta intensità. Gli spazi sociali sono baluardi di terreno comune su cui costruire un immaginario diverso e contrastano (per quello che possono) questo tipo di direzione restituendo, ai territori in cui operano, spazi e tempi condivisi e di confronto per i cittadini tutti. Sono, a mio modo di vedere fondamentali, vitali.
Per quanto riguarda la cultura e l’arte in genere sono gli incubatori intorno a cui, in assenza di servizi, si sviluppano le idee, i disegni, le parole, le canzoni. Se non ci fossero stati, io non avrei mai cominciato ad esibirmi in pubblico ad esempio (per qualcuno questo potrebbe essere un controvalore, me ne rendo conto) e, al di là di me, ne conosco infinite di realtà artistiche che sono nate e cresciute grazie agli spazi messi a disposizione da luoghi così. Sale prove, teatri popolari negli anni hanno lanciato artisti ora di livello internazionale. In assenza delle istituzioni c’è chi si è rimboccato le maniche e ha permesso alla linfa politica e artistica di continuare ad esistere e di continuare a perseguire la bellezza e non possiamo far finta che questo, soprattutto in questa città, non sia un dato di fatto. La Roma virtuosa è ancora qua (anche se ogni tanto pecca di ingenuità).
– L’album precedente è uscito a fine 2017. Come vivi il tempo di costruzione e di immaginazione tra un album e l’altro? Cosa ti ispira, cosa ti nutre, cosa ti smuove o commuove, cosa ti condiziona?
Il tempo tra un disco e un altro è un tempo strano: fatto di momenti molto oscuri e altri improvvisamente altissimi. Non si sta benissimo. E’ un tempo quasi immobile in cui da una parte si fanno i conti con quanto fatto e dall’altra si comincia a combattere con quanto dovrà succedere. A volte anche con il “se” dovrà succedere o meno. Poi se c’è ancora urgenza, in un modo molto strano si ricomincia a scrivere. Io non sono uno che scrive in continuazione, scrivo quando qualcosa emerge: spesso quest’urgenza è diretta, condizionata, ispirata, nutrita da ciò che mi fa rabbia e mi fa male, da quello che non sopporto. Poi c’è la poesia che aiuta a non farvelo capire.
– Mi hai detto che sei in partenza. Il viaggio é un’esperienza importante per la tua crescita artistica e creativa?
Lo scopriremo. In realtà è la prima volta che mi capita di fare un viaggio lungo da quando scrivo (quasi) per lavoro. Mi auguro di sì, ma in fondo ne sono sicuro. Mescolarsi all’altro, avere a che fare con mondi e culture diverse non può che mettere in gioco qualcosa anche dal punto di vista della rielaborazione poetica e artistica. Magari non subito, non al ritorno, magari succederà tra qualche anno, ma sicuramente sarà un’esperienza che a un certo punto parlerà anche attraverso le mie canzoni.
– Mi hai detto che non sai se torni. Mi prometti che ovunque sarai continuerai a produrre, a vivere e a condividere le cose belle che crei, canti, reciti e scrivi?
Lo sai quanto è bello sentirselo dire?! Grazie.
– Nei tuoi live non manca mai il tuo personalissimo e divertentissimo oroscopo. Essendo appena iniziato l’anno, mi regali le tue personalissime e divertentissime previsioni astrologiche per il 2020?
Te ne regalo uno con i proverbi:
Ariete: non ti scoprire
Toro: si spera
Gemelli: a catinelle
Cancro: non ti conosco
Leone: lo zampino
Vergine: raccoglie tempesta
Bilancia: non i coperchi
Scorpione: li accoppia
Sagittario: quello che luccica
Capricorno: non si guarda in bocca
Acquario: poche parole
Pesci: estremi rimedi.
– Grazie, buon viaggio e buona musica.
No, buona musica no, dai.