In questo periodo di tempo sospeso, segnato dall’emergenza Covid-19, dopo gli affanni dell’inizio e tutte le buone intenzioni, è successo che, a un certo punto, si sono perse le parole. Perse dove?
Nel vuoto, nel tempo perso, nello spazio chiuso e sono rimasti i suoni. Quelli interiori prima di tutto: quel rumore incessante che rimbomba dentro la testa e che solitamente viene messo a tacere, camuffato dalle varie routine-gabbie dell’esistenza; della primavera che “non bussa, lei entra sicura” (De Andrè) e canta fuori dalla finestra, implacabile e inarrestabile; delle case degli altri, improvvisamente così vicine alle proprie, del fuori che inaspettatamente diventa muto e se prima era un trionfo di rumori indistinti, ora, dal silenzio, parla nitidamente.
Fuori dalle vecchie gabbie, ma intrappolati dentro una nuova, sconosciuta seppur la più nota (la propria dimora), altri carcerieri si fanno avanti.
I suoni appunto. Quelli dei pensieri sopra ogni cosa. Assordanti come il silenzio. Pesanti come piombo. Tanto pesanti che fanno cadere, tanto da non riuscire a rialzarsi, tanto da ritrovarsi indietro dove non ci si ricordava neppure di essere stati.
Sono i suoni di uno spazio siderale che vengono da un passato che si fa presente e improvvisamente apre una strada immaginaria verso il futuro, imperscrutabile ora da dentro la casa-gabbia, in cui ognuno si trova incatenato e cieco, come nel mito della caverna di Platone.
Platone ci insegna che in realtà non si è ciechi, ma solo incapaci di guardare, perché immersi in un buio al quale ci si deve abituare, se si ha avuto il coraggio di voltarsi verso la luce, prima di scorgere le forme. Dapprima ammaliati dalle ombre, si imparerà, gradualmente, a riconoscere il reale.
I Subsonica con il loro nuovo (vecchio) lavoro hanno fatto più o meno questo: hanno scovato tra le ombre del loro passato qualcosa di prezioso e lo hanno portato alla luce, rendendolo finalmente reale.
L’album infatti, in realtà, viene realizzato nel 2004, ma viene pubblicato solo adesso, esattamente il 24 aprile 2020.
Ora, la prima domanda che sorge è quanto sia furbo e ruffiano pubblicare adesso che i tour sono fermi, la produzione è ferma e tutto il settore dello spettacolo si trova sul crinale scivolosissimo di un precipizio senza precedenti, un vecchio album spacciandolo per nuovo (poco dopo un altro in cui avevano già abbondantemente attraversato e rivisitato il loro passato).
In realtà, al di là di tutte le critiche e le considerazioni, ci si rende conto che era esattamente quello che ci voleva. Nonostante le sonorità arcaiche, ma mai scadute, l’album si fa portavoce (senza voce) perfetto di questo periodo. E il fatto che parte dei proventi siano stati donati a diversi ospedali del Piemonte impegnati nell’emergenza Covid-19, lascia immaginare che non sia stata (solo) una mera speculazione.
Non si tratta di una prima nascita, ma di una ri-nascita, e quei suoni, ormai quasi antichi, si ri-attualizzano in una nuova narrazione. Che è un po’ ciò che accade nel mondo ora ed è la sfida a cui è chiamato l’uomo vecchio-nuovo (come nella dialettica tra l’anziano morente e lo Star Child di “2001 Odissea nello spazio”, Stanley Kubrick 1968).
Ed ecco che il suono-aguzzino si fa suono-libratore che dalla gabbia più oscura e profonda, apre nuove, inaspettate, sconosciute e liberanti vie di salvezza.
Il nuovo album dei Subsonica è un trionfo di suoni: senza parole, di un tempo passato e in parte dimenticato, eco di una profonda esplorazione dello spazio interno ed esterno. Tanto si scende dentro, tanto si viaggia oltre, tanto si scava indietro, tanto ci si proietta in avanti e viceversa. È un viaggio di liberazione: un viaggio mentale, un viaggio strumentale.
“Mentale strumentale” (Sony Music 2020) è un’esperienza che coinvolge tanto chi l’ha vissuta quanto chi la sente. Lo spazio compresso e soffocante di chi ascolta si riempie di stelle e diventa universo, cosmo, luna. Soprattutto la luna. Di nuovo la luna. Sempre la luna. Lei, con i suoi cicli inarrestabili, governa su tutto, perfino sulla musica. E rievoca anche quella dimenticata in un cassetto.
E allora pronti al “Decollo”, “cullati dalla tempesta” che ha travolto tutto, si viene sospinti in alto, verso l’“Artide 3AM”, “Al nord di ogni lontananza”, viaggiando soli e persi come “Detriti nello spazio”, come uomini nuovi in procinto di un nuovo inizio. Uomini e donne Alfa, come la “A di addio” a tutte le zavorre che non consentono il volo, spazzate via dalla “Tempesta solare” (di luce appunto) e immolate in un sacrificale “Delitto sulla luna”.
Ora si risorge, si rinasce, si emette l’afflato di nuova vita, il gemito primordiale e prelinguistico, “Strumentale”, appunto, prima di fare “Rientro in atmosfera”, la stessa dalla quale si è partiti, ma dove nulla sarà come prima.