Venerdì 9 ottobre, nella bellissima Piazza Fiume di Scandiano (RE), si è tenuto il concerto “Per gli invisibili”.
Intanto ci si domanda perchè tale evento non abbia avuto un’adeguata risonanza da parte dei media e delle agenzie di stampa, nonostante la partecipazione di molti artisti (un concerto invisibile dedicato agli invisibili, dunque) e poi chi siano questi “invisibili”.
Sono i lavoratori dello spettacolo che, in quanto tali, sono invisibili almeno tre volte: per professione (lavorano dietro le quinte), per condizione lavorativa (senza un contratto o albo professionale), per emergenza (mai citati direttamente nei vari decreti-Covid).
Sono fonici, tecnici luci, attrezzisti, allestitori, montatori, fotografi, tour manager, stage manager, ecc, tutti coloro che si muovono nel buio, in silenzio, velocemente ma piano, prima e dietro al palco, oppure sopra ma a luci spente e, come i burattinai, muovono di nascosto i fili dello spettacolo, stando attenti a non mostrare mai se stessi e l’artificio. L’invisibilità è il loro super potere che però è diventata anche la loro condanna.
Negli ultimi anni queste figure professionali hanno guadagnato sempre maggiore importanza (divenendo di fatto i veri responsabili del successo di un tour), ma sempre meno tutele e garanzie lavorative. Ultimamente è capitato si parlasse di loro in occasione di incidenti drammatici durante l’allestimento di palchi importanti e ci si è interrogati, fino a che l’evento ha occupato gli onori della cronaca, sull’assenza di tutele per questo genere di professioni.
Ora si torna a parlare di loro (seppur non abbastanza), anzi, sono loro a parlare a gran voce di se stessi, poiché non sono stati considerati da nessun decreto di emergenza post-Covid.
La musica (e lo spettacolo) vive di eventi, di folle e di grandi numeri. Durante un concerto si adottano esattamente tutte quei comportamenti che da mesi i virologi e gli esperti dicono di non fare: assembrarsi, cantare e parlare a voce alta (situazioni in cui si emette il maggior numero di droplet), ballare, strusciarsi, pogare, scambiarsi sudori e altri fluidi, spesso in luoghi chiusi, stretti, poco igienici e poco areati.
Con l’emergenza Covid-19, invece di domandarsi cosa modificare per continuare a fare spettacoli in regime di distanziamento, si è semplicemente deciso di sospenderli, fino a data da destinarsi (con buona pace di tutto il comparto dei lavoratori).
Tutti ricordano le date dei tour invernali sospese, poi spostate, prima ad aprile, poi ad ottobre, poi direttamente a marzo 2021, poi a luglio 2021, poi niente. Nessuno fa più previsioni per il futuro, semplicemente si cerca di reagire al presente.
I lavoratori dello spettacolo si sono organizzati in movimento e hanno dato vita a un manifesto (“Per gli invisibili ”, appunto), a manifestazioni e a vari flashmob, nel tentativo di spostare l’attenzione, del governo e dell’opinione pubblica, sulla loro condizione. Inoltre gli artisti e tutto il settore intorno all’organizzazione degli eventi, si sono adoperati, con un senso di responsabilità incredibile, per dare vita a spettacoli a formazione ridotta, con pubblico limitato, con sofisticati sistemi di prenotazione, con posti a sedere distanziati, in ambienti sicuri e controllati e si è scoperto che sì, sorprendentemente, si può fare.
Si può partecipare ad un concerto rimanendo seduti, e, addirittura, indossando una mascherina. Si possono montare palchi più grandi, controllare gli accessi, investire più soldi per guadagnarne di meno, ma almeno si può tentare di restare in piedi (lavorativamente) e di restare vivi (emotivamente).
Non è altrettanto possibile bere un cocktail o consumare un pasto con la bocca coperta, così come è impossibile mantenere le giuste distanze danzando in una pista da ballo o controllare gli accessi e gli assembramenti nei viali e nelle piazze della movida. Eppure i bar, i ristoranti, i pub, i locali e le discoteche hanno ripreso ben presto le proprie attività, senza eccessive restrizioni, mentre i tour e i festival musicali no.
Risulta incomprensibile questa rigidità verso la musica, questa incapacità di considerare un settore, di ripensare certe dinamiche. Come si può pensare di rinunciare per mesi o anni (per quanto possa durare l’emergenza sanitaria) alla musica, all’arte, alla cultura e più in generale alla bellezza? Come si può pensare che un intero settore lavorativo sia dimenticato o liquidato con misure emergenziali temporanee e insufficienti? La musica stessa è un’emergenza (da e-mergere = fuori dal sommerso) che dà suono e parola alla parte più profonda, atavica, ancestrale e istintuale dell’animo umano. La musica ha una componente spirituale altissima e i concerti sono un rituale collettivo irrinunciabile (a maggior ragione se rappresentano la fonte di sopravvivenza per molti).
Vasco Brondi ha organizzato un grande concerto per ribadire, in maniera corale, tutto questo, sottolineando il potere terapeutico della musica, ancora più irrinunciabile in tempi di pandemia. E lo ha fatto coinvolgendo una serie di artisti-talismani (per ribadire anche il potere magico e benefico della musica e della condivisione della stessa).
I Tre Allegri Ragazzi Morti salgono sul parco per primi e danno vita ad un concerto emozionante, intenso, pieno e coinvolgente, come non capitava da tanto. Sembrava davvero di essere tornati a “Il mondo prima” della pandemia.
La seconda parte dello spettacolo è guidata da Vasco che brilla timido tra le luci (del palco e non della centrale elettrica) e accoglie educatamente i suoi ospiti: Massimo Zamboni, Francesco Bianconi, Margherita Vicario e molti altri (in presenza o in remoto).
Insieme suonano un repertorio ricco di brani propri, spesso rivisitati e di omaggi ad altri grandi talismani della musica.
Si arriva alla fine del concerto con un senso di gratitudine e di partecipazione di Gaberiana memoria. Era tanto (troppo!) che non si viveva una serata così “Mondana e mistica” e ci si augura di non doverci rinunciare più: siamo tutti con la musica perché la musica è parte di tutti noi.