Intervista ai Muiravale Freetown: The Mission è un disco rivoluzionario

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Muiravale Freetown
Muiravale Freetown

Muiravale Freetown torna con una nuova formazione e un nuovo disco dal titolo The Mission. La band, nata nel 2009 a Terracina, ha avuto nel tempo alcuni cambi di formazione arrivando ad avere oggi tre membri, fra cui Shak Manaly, il Dubmaster Likkle Fyah, fondatore della band, e King Mama percussionista senegalese.

Disponibile in tutti gli store digitali, il disco ha dodici tracce e si è sviluppato intorno alla figura di Alfredo Fiorini morto a Muiravale il 24 agosto del 1992 ispirando la band stessa.

Oggi abbiamo il piacere di presentarvi più da vicino la band. Siamo riusciti a chiedere qualcosa in più sul progetto e sulla nuova formazione.

Facciamo il punto della situazione. Chi fa parte oggi dei Muiravale Freetown? Potete dire qualche parola su ognuno dei membri per presentarvi?

Ad oggi siamo in tre, io Shak Manaly alla voce, Likkle Fiyah che ha fondato la band insieme a me che si occupa delle tastiere e del mixer e King Mama dal Senegal, Percussionista professionale di un certo calibro che ha suonato su molti palchi con tantissimi artisti famosi come Sizzla e Luciano e molti altri.

Il gruppo però è nato molto tempo fa e aveva una formazione diversa. Mi spiegate come è nato questo gruppo, quando e quali sono stati i motivi che vi hanno portato a dare vita al gruppo?

La band si iniziò a formare nel 2009 qui nella nostra città Natale, a Terracina. E all’epoca il gruppo era formato da bassista batterista, chitarrista, tastierista, percussionista, trombone tromba e saxofono, questa era la prima formazione della nostra band. Tutto iniziò con una canzone che scrivemmo per un medico missionario chiamato Alfredo Fiorini che morì in Africa Mozambico nel’92. Decidemmo di dedicargli una canzone dato che anche lui veniva dal nostro stesso paese. Quando nacque il gruppo eravamo molto più giovani e con altre idee per la testa quindi anche il modo di concepire la musica che facevamo era diversa. Piano piano, col maturare mentale e musicale, automaticamente sono venuti a togliersi dei tasselli che hanno potuto rendere possibile quello che oggi è il progetto. Crediamo di aver trovato finalmente la formazione che meritava da anni questa band.

Ascolta il disco:

Siete al vostro secondo disco ufficiale, The Mission. È arrivato a un bel po’ di anni di distanza dal primo. Come mai?

È arrivato con un anno e mezzo di distanza proprio perché nelle nostre vite ci sono stati dei cambiamenti molto forti, oltre quelli di formazione anche le nostre vite private sono cambiate e quindi abbiamo deciso di dare tempo al tempo proprio perché anche la musica stessa lo richiede. Ora siamo ritornati più forti di prima, pronti per ritornare sui palchi dei Festival di tutta d’Europa. In fondo fa parte anche questo della nostra missione.

The Mission. Come mai questo titolo? Cosa volete trasmettere al pubblico?

Sicuramente tu che mi stai intervistando oppure chi sta leggendo questa intervista ha un obiettivo nella vita. Noi quell’obiettivo lo chiamiamo missione ed è la nostra musica con la quale cerchiamo di trasmettere i nostri messaggi. Durante i nostri concerti e tour abbiamo conosciuto tantissime persone con idee diverse riguardo gli obbiettivi che si hanno nella vita; quindi, è anche per ricordare loro ed il nostro cammino che abbiamo scelto questo titolo.

Quali sono i temi che trattate all’interno del disco?

I temi del disco spaziano tanto proprio perché dentro una missione si incontrano tanti ostacoli ma tantissime belle esperienze ed è quello che abbiamo voluto incorporare nelle canzoni stesse. Dell’emigrazione, alla speculazione di Babilonia, le esperienze fatte in Giamaica, le storie d’amore raccontate in poesia, l’amore per la musica reggae stessa, diciamo che questi sono una parte dei temi che affrontiamo. Quindi come la canzone che dà il titolo all’album The Mission che è in un nuovo stile di reggae potete trovare anche lo ska e la dancehall ma concepiti in maniera diversa dal solito.

Se parliamo di “genere” e suoni, come definireste The Mission?

Abbiamo voluto soffermarci tanto sui suoni di questo disco, cercando di rivoluzionare un po’ il genere stesso. Essendo la nostra missione … anche noi ci sentiamo dei rivoluzionari della musica. Shak Manaly in questo periodo è un esempio di quello che sto dicendo. Molti dei brani indipendenti a cui ha lavorato, come quello con Lion D, rispettano il cambiamento della musica ed è quello che si rispecchia anche in noi. The mission non è un semplice disco con delle canzoni dentro, ma è la missione che ognuno ha dentro. Se dovessimo definire il disco, non menzioneremmo un genere. Probabilmente diremmo che è semplicemente rivoluzionario.

Voi vi siete autoprodotti. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’autoproduzione?

Noi ci siamo autoprodotti, ma il mix e il master del disco sono stati fatti in Inghilterra Brixton agli Ariwa Studios di Mad Professor, produttore di musica dub conosciuto a livello mondiale, con il quale Shak ha avuto modo di esibirsi a Milano in una session. Abbiamo registrato le tracce nel nostro studio di registrazione che avevamo prima che il nostro tastierista si trasferisse. Il vantaggio più importante sicuramente è stato quello di autogestire il tempo nel modo più consono.

Avete in programma un tour per la presentazione del disco?

Al momento abbiamo delle date che potete trovare sui nostri social ed alcune sono ancora da annunciare, siamo disponibili per qualsiasi Festival o evento. Non ci tiriamo indietro. Vogliamo portare The Mission ovunque e suonarlo live il più possibile.

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