Un TUFFO nelle emozioni di Pugni – il suo primo album, l’intervista

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Lorenzo Pagni, in arte Pugni, si definisce un palombaro che si immerge alla scoperta delle sue emozioni. Fresco di due date a Torino, tra cui il release party, andato subito sold-out, inizierà a girare l’Italia per la promozione del suo primo album, Tuffo. Lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare quale è stato il processo creativo per la stesura, quali sono le sue ombre junghiane e come si trova a Torino, città nella quale si è trasferito per inseguire i suoi sogni musicali.

Studi

Hai iniziato a cantare da piccolissimo già su un palco, come hai continuato poi la tua crescita musicale? So che tuo padre ti ha influenzato molto, quale musica ascoltavate in casa?

Ho iniziato dalla batteria, prendendo delle lezioni, ma mai strutturate, sono sempre stato autodidatta, anche con la chitarra. Per quanto riguarda il canto, invece, lì ho studiato parecchio, ho preso diverse lezioni da diversi insegnanti di canto. In casa si ascoltava molto di rock classico, di funky, blues, soul. E infine anche tantissima musica classica, che mi ha cresciuto quando ero proprio in fasce, quindi mi è rimasta ”nell’inconscio”, senza in realtà conoscerne i titoli, però la so.

Anche tuo padre è un musicista, oppure ha solo la passione da ascoltatore?

No, lui è un grande ascoltatore, ha suonato un pochino la chitarra, ma così proprio da falò sulla spiaggia. Lui è un artista, però è un grafico, uno scultore ed un pittore.

Più o meno quindi a che età hai iniziato il tuo percorso di studi di canto?

La prima lezione di canto l’ho presa a 18 anni. Invece, per quanto riguarda la chitarra ho preso tre lezioni quest’anno. Non avevo mai preso lezioni di chitarra.

Processo creativo

Visto che tuo padre lavora più visivamente e in alcuni dei tuoi pezzi io ci ho letto diversi riferimenti visivi, correggimi se sbaglio, qual è il tuo processo creativo? Pensi più alle parole, oppure ti appoggi a delle immagini, o a dei suoni, o dei ricordi, ecc…?

Dipende. Diciamo che fondamentalmente parto da un’emozione. Per cui inizio da un contenuto che non è ben definito, un po’ liquido. E da lì poi, piano piano, cerco di dargli una forma, magari attraverso un’immagine o attraverso delle parole. A volte mi capita anche di partire dai suoni, o meglio è l’emozione che mi esplicita una armonia, una chitarra, un suono di sintetizzatore o di qualsiasi altra cosa. Però molto dipende da come sto. Alla fine le canzoni sono un po’ lo specchio di come stiamo. 

Emozioni

C’è un’emozione in particolare che ti ricordi che ti ha aiutato tantissimo nello scrivere una traccia?

Allora, la malinconia sicuramente è un po’ l’emozione principale, la più importante dell’album, ma così anche la rabbia. Ad esempio in Inchiostro Blu e in Falco Ubriaco c’è tantissima rabbia. E voglia di libertà, che non saprei come racchiuderla in un’emozione, però questa necessità di liberarsi è presente in tantissime altre canzoni. E la tristezza anche. Di gioia ce n’è poca, oggettivamente. Come diceva Tenco, quando sono felice esco. E non scrivo. Ed è vero.

Ok, c’è un pezzo preferito all’interno dell’album?

I miei due pezzi preferiti sono Plutone e Trentasette denti, però dipende un po’ dalla giornata anche lì. Sono dei giorni in cui preferisco ascoltarmi altri pezzi, però quelli tendenzialmente sono quelli preferiti. Anche Spigoli in realtà.

Plutone

A proposito di Plutone, ce lo spieghi un pochino? Che senso volevi dare a quel pezzo? Perché secondo me si può interpretare in diversi modi, però vorrei sapere il tuo di modo.

Allora, Plutone è il pianeta ed il dio del cambiamento che passa dalla distruzione. Per cui è la distruzione e la ricostruzione. Quindi il cambiamento che passa da dei momenti di crisi in senso etimologico, la rottura degli equilibri esistenti e l’obbligo di crearne di nuovi per poter andare avanti. Quel pezzo lì ha diversi riferimenti esoterici e mitologici alla mitologia, e vuole prendere un po’ le mosse da questo concetto secondo cui per arrivare a evolversi spesso si passa da delle fasi che sono apparentemente negative. Io volevo riprendere un po’ il concetto junghiano di ombra, quell’insieme di contenuti psichici che sono nell’inconscio, di cui non siamo consapevoli e che possono anche spaventare. Anche perché oggettivamente sono spesso verità scomode che vengono contenute nell’ombra, ma che sovente sono necessarie per potersi appunto autorealizzare, come dice proprio Jung.

Ombra Skit

Ok, tra l’altro volevo farti alcune domande sul pezzo invece proprio Ombra skit. Innanzitutto, come ti è venuta l’idea di fare una traccia unicamente parlata?

Ovviamente non l’ho inventata io questa pratica, è già presente in diversi album. Volevo che ci fosse qualcosa che spezzava il flusso musicale. Conosco Francesco Fanucchi di persona, tra l’altro si è esibito per la prima volta nel locale che gestivo a quel tempo, il Leningrad Café. La prima volta che l’ho sentito mi ha devastato, è stato proprio pazzesco. Io e lui abbiamo un rapporto molto bello a livello intellettuale, nel senso che spesso tra una ”cazzata” e l’altra ci facciamo dei bei simposi sulla vita, sulla filosofia, ecc… . Per cui sono anche delle considerazioni che sono nate in realtà in maniera abbastanza naturale con Francesco e abbiamo poi deciso di farne una traccia nell’album. 

E con che cosa non hai fatto pace con te stesso?

 Eh con diverse parti. Sicuramente la mia competitività, che mi porto dietro dallo sport (è stato un canottiere agonista, ndr). Di certo mi aiuta a dare il meglio però poi fa il giro e mi blocca, perché comunque sia se si tratta di musica e di espressione emotiva la parte agonistica e competitiva in realtà risulta essere poi un blocco. Non puoi fare il meglio che puoi con le tue emozioni, puoi fare il più vero che puoi, che è ben diverso.

Competizione

E soffri un po’ la competizione con gli altri anche nel mondo della musica oppure no?

È più una sfida con me stesso: so che posso fare una cosa a un certo livello, quindi voglio sempre raggiungere quel livello. Però non funziona così, perché ogni giorno è diverso, ogni giorno sei diverso, quindi devi ”stare” con quello che c’è. Ma la competitività da una parte mi stimola a fare sempre meglio, dall’altra mi limita perché voglio sempre fare meglio. E quindi non sono mai contento, mai tranquillo.

Non riesci ancora quindi ad accettare i giorni in cui non sei stato produttivo quanto avresti voluto?

Ci sto lavorando, sicuramente va meglio di prima.

Salute mentale

A proposito di salute mentale, visto che fa parte della tua vita e del tuo album in modo preponderante, volevo chiederti quando hai capito nel corso della tua esistenza che era un argomento importante per te

Quando ho capito che dovevo avere a che fare con la mia salute mentale, quindi quando mi sono reso conto che per superare determinati ostacoli dovevo entrarci dentro e curarmi, guarirmi. Poi gli studi sicuramente di psicologia mi hanno dato una professione ma soprattutto un grande strumento, al di là del lavoro in sé per sé.

Ma già al liceo che avevi preso questa consapevolezza di voler studiare psicologia? 

Al liceo io ho sempre voluto studiare filosofia e psicologia, se non che poi seguendo sempre le aspettative un po’ degli altri, le pressioni che mi arrivavano dall’esterno, ho fatto il test d’ingresso di ingegneria, poi il test d’ingresso di economia e alla fine sono andato a fare giurisprudenza. Dopo un anno non mi è piaciuta e sono andato a fare finalmente psicologia, che era quello che volevo fare all’inizio, quindi sì.

Inchiostro Blu

Ok, parlando di inchiostro blu, c’è qualcosa che vorresti cambiare nel come vengono gestiti i reparti psichiatrici? Perché è un tema che è presente ma non se ne parla tanto nella società, un argomento che a volte sanno soltanto gli addetti al settore, come la vivi e come vorresti usare le tue canzoni per parlare del problema? 

Io la vivo abbastanza male: ci lavoro, quindi lo vedo quotidianamente. Innanzitutto si parte da un problema di mancanza di personale, quindi un’incapacità di fronteggiare il problema con degli adeguati strumenti. Il che porta poi ad adottare la soluzione più semplice che probabilmente è l’unica possibile ovvero quella di usare i farmaci come unico strumento terapeutico.

Fai conto io lavoro in una clinica psichiatrica dove sono 80 pazienti e siamo soltanto tre psicologi, quindi capisci che poter parlare con tutti dando la giusta attenzione è veramente impossibile. Per cui i farmaci sono quello strumento che ti permette, è brutto da dire, di ”tenerli buoni’ e di avere meno problemi possibili. E poi il sistema psichiatria è veramente un circuito all’interno del quale entri e diventi in balia di qualcosa che ti rende un elemento passivo della tua stessa vita, perché poi spesso sono persone che hanno difficoltà socio-economiche, per cui non hanno libertà. Purtroppo nel mondo di oggi se non hai soldi e possibilità di supporto sociale sei solo e non libero, quindi dipendente dagli altri.

La malattia mentale si configura proprio come un handicap che però è anche ricoperto da un senso di colpa e di vergogna, per cui una persona in carrozzina è una persona sfortunata che ha avuto delle disgrazie, ma che riceve tutta la benevolenza da parte della società. Chi è malato mentale invece si deve sentire giudicato per il fatto di essere in quella situazione, perché non riesce a vivere all’interno di un contesto sociale che è il nostro. Ma se vai a leggere qualsiasi definizione di una diagnosi psichiatrica, il malato mentale è tale rispetto a un contesto In tutti i giochi delle parti non è mai colpa di una sola, ma è una sinergia tra loro, e invece ci si concentra solo sul fatto che il pazzo, il malato, sia sbagliato, sia inadeguato, e mai su quanto sia inadeguata la società, che non riesce ad accoglierlo.

Musica

E attraverso le tuoi canzoni cosa pensi di poter, non dico cambiare, perché è un sistema ormai, ma cosa vorresti apportare? 

Vorrei attraverso lo strumento della musica, che è un linguaggio universale, portare dei messaggi alle persone, perché penso che l’unica grande arma che abbiamo come società è la consapevolezza di quello che ci circonda. Fino a che ci teniamo gli occhi tappati su determinate dinamiche, che non sono di moda, perché ci sono anche i trend dei diritti, senza andare nel particolare, non cambierà molto. I diritti a volte vengono presi come mainstream, talvolta anche banalizzati secondo me, perché come qualsiasi opinione corrente poi viene banalizzata. Altre cose invece vengono totalmente ignorate, perché non abbastanza interessanti, o non abbastanza coinvolgenti per tutti, perché siamo tutti in realtà sottoposti alla salute mentale, ma è una cosa che vogliamo evitare come la peste, quindi non si ne parla.

Psicologia

Però non trovi che adesso, almeno da quando c’è stata la pandemia, è un tema di cui invece si discute, si parla? 

Sì, se ne parla, ma in termini sempre molto poser, da Instagram. Non si parla veramente della sofferenza mentale. Se ne parla, ma determinati livelli di sofferenza ancora non siamo pronti a vederli. Quindi si parla soltanto della sofferenza più comune anche per le persone. Anche il bonus psicologo è stata una paraculata, a parte che è finito in 24 ore, ma il vero contributo sociale potrebbe essere mettere uno psicologo di famiglia ad esempio. Certo, sarebbe uno psicologo stipendiato dallo Stato, anche perché è un costo che è giusto che ci sia, perché comunque sia è un mestiere di un certo tipo, ma non è accessibile a tutti. In realtà tutta l’ondata dei diritti, cioè della promozione dei diritti per la salute mentale sono diritti borghesi, non sono diritti popolari, reali.

Produzione

Hai preso parte alla produzione, come hai imparato, da quanto tempo ci stai mettendo le mani dentro? Come ci sei arrivato?

Allora ho iniziato un po’ a caso su Garage Band, proprio alla vecchia, e poi ho scaricato i programmi, mi sono messo lì, ci ho perso le ore. Inizialmente da autodidatta, poi ho lavorato tanto con Danny Bronzini e con Kendo, che è un produttore di Torino con cui ho prodotto l’album. Ho imparato guardando gli altri e passandoci le ore, tanto è come un videogame, ci sono tutti i trick, tutti i trucchetti. Non sono mai stato un nerd, ma per quel programma lì abbastanza in realtà.

E come sei entrato in contatto con Danny e con Kendo?

Danny è di Pisa e quindi ci conosciamo da un po’ di tempo, abbiamo sempre frequentato un po’ gli stessi ambienti, è una città è piccola. Con Kendo a caso, grazie a conoscenze su Torino, attraverso Caruccio, che è un altro producer, Fractae, in realtà si chiama come producer, siamo entrati in contatto a caso, il progetto più subito abbiamo iniziato a lavorare insieme.

Torino

 Tra l’altro il trasferimento da Pisa a Torino l’hai fatto per il tuo lavoro, non per motivi musicali, giusto?

 In realtà l’ho fatto per la musica, dicendo a tutti e a me stesso che era per fare il tirocinio post laurea, ma il motivo principale per cui ho scelto Torino, perché potevo andare in qualsiasi altra città, è stata la musica, mi piaceva la scena musicale torinese.

Del tipo chi?

Guarda, Willie Peyote, con cui ho lavorato, e principalmente lui sai, non glielo dire.

 Ma come facevi a sapere da un’altra città che movimento musicale c’era qui? 

Attraverso Danny, che era già qui a Torino e lavorava con Willie tra l’altro, quindi è stato anche lui il gancio che ci ha fatto conoscere. Poi c’è il fatto che Willie descriveva Torino e la popolazione torinese e lui nei suoi testi è in grado veramente di far passare determinate sensazioni che si vivono effettivamente stando qui. Io dopo un po’ che stavo qui ho capito veramente cosa stava scrivendo Willie.

Te lo chiedo perché la scena torinese adesso passa un po’ in underground rispetto a quelle di Milano, Bologna e in parte anche Genova

Attraverso anche ai social in cui vedevo delle serate che venivano organizzate e niente, mi sono incuriosito. Ma c’è stato qualcosa che mi ha chiamato che non saprei dirti, sinceramente.

Ha rispettato le tue aspettative?

Sì, dai, a parte l’aria, avrei bisogno di un po’ più di aria pulita, mi manca il mare ahah.

Verità

Faccio l’ultima un po’ cattiva, che cosa, secondo te, invece nel progetto che avevi iniziato con gli Scarlett non ha funzionato?

Non hanno funzionato innanzitutto le intenzioni, per cui c’era una mancanza, da parte mia soprattutto, che ero il front-man, di contatto reale con quello che volevo dire e che volevamo dire. Eravamo troppo concentrati sull’arrivare a piacere e sull’inserirsi in un contesto già precostituito. Una perdita di contatto con la propria verità, con quello che veramente volevamo dire e volevamo fare.

Quindi cosa ti auguri per invece questo tuo nuovo progetto?

Di rimanere sempre me stesso.

E quale è il modo migliore per riuscirci? Hai trovato almeno un segreto?

Sì, sì. La psicoterapia, l’andare in natura e poi uno che non si può dire.

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